Sac. Antonio Lo Duca e i Sette Arcangeli (o Sette Spiriti Assistenti)

Carmine Alvino

Sacerdote Antonio Lo Duca (Cefalù 1491 — Roma 1564)

La Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri nasce per volontà di Antonio Lo Duca (Duca o del Duca), un sacerdote siciliano devoto al culto degli Angeli. Egli, nato a Cefalù nel 1491 e morto a Roma nel 1564, manifestò presto questa sua passione verso gli spiriti celesti, sin da quando, giovanissimo, fu nominato maestro di canto della cattedrale di Palermo (1513-1515). In quel periodo, mentre insegnava canto ad un gruppo di chierici scoprì un antico dipinto dei Sette Principi degli Angeli nella chiesetta di Sant’Angelo, riemerso quasi per miracolo dopo secoli d’incuria. Effettivamente i medesimi sette angeli con i rispettivi nomi vennero trovati scritti negli affreschi rinvenuti, nel 1516, dal sacerdote Antonio Lo Duca su una parete della chiesa palermitana di Sant’Angelo, che sorgeva accanto alla cattedrale, dove ora è la piazza Sette Angeli. Le immagini erano disposte su tre ordini. Nel primo erano raffigurate la creazione del mondo e degli angeli, con Lucifero ancora in stato di grazia e san Michele dinanzi al trono di Dio. Nel secondo la vittoria di san Michele su Lucifero, la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso, Abramo in ginocchio davanti ai tre angeli e poi impegnato a servire loro un banchetto.

Nel terzo, relativo ai sette angeli, al centro figurava Michele, «victoriosus» (vittorioso), che tiene nella mano sinistra una palma verdeggiante e nella destra una lancia da cui pende una bandiera bianca con croce rossa nel mezzo. Da un lato Gabriele, «nuntius» (nunzio), tiene in mano una fiaccola posta in una lanterna e nell’altra uno specchio di diaspro verde con macchie rosse; Barachiele, «adiutor» (che porge aiuto), ha un lembo della veste raccolto innanzi al petto e pieno di rose; Uriele, «fortis socius» (forte compagno), ha una spada sguainata in mano e un fiamma ai piedi. Dall’altro lato Raffaele, «medicus» (medico), guida Tobia e porta un vaso di medicinali; Geudiele, «remunerator» (che premia), stringe nella mano destra una corona d’oro e nella sinistra un flagello a tre cordicelle; Sealtiele, «orator» (che prega), è raccolto in preghiera con il capo chino e con le mani giunte dinanzi al petto.

Il ritrovamento di queste immagini destò grande devozione verso i principi celesti, tanto che la nobiltà di Palermo si riunì in una Confraternita dei sette angeli (detta imperiale poiché volle iscriversi lo stesso imperatore Carlo V), la chiesina fu riaperta al culto e don Lo Duca ne divenne rettore. La festa dei sette arcangeli vi si celebrava nella seconda domenica dopo Pasqua, secondo la determinazione che l’arcivescovo palermitano comunicò a papa Clemente VII il 23 febbraio 1524 (dal 1693 fu spostata al 6 ottobre). Il monastero ottenne nel 1593 da papa Clemente VIII la bolla di conferma, mentre nel 1621 Gregorio XV concesse l’indulgenza plenaria ai fedeli che avrebbero partecipato alle celebrazioni della festa nei sette anni dal 1623 al 1629, privilegio rinnovato da Urbano VIII dal 1643 al 1649, da Clemente XI dal 1716 al 1722 e da Innocenzo XIII dal 1723 al 1729.

Intanto Antonio Lo Duca era venuto anche a conoscenza di una profezia relativa al tempo in cui sarebbe stato riscoperto ed esaltato il culto dei sette principi degli angeli, quando cioè «la mitra vederà in vetro», secondo quanto era stato rivelato in un libretto di un certo Bartolomeo Pisano. E in effetti nel 1518 papa Leone X, che non poteva vedere se non con l’aiuto di un occhiale, concesse all’Ordine francescano una Messa in onore di san Gabriele dove, nell’ottavo responsorio e nell’antifona del Benedictus, si invoca anche Uriele (della celebrazione, fissata al 24 marzo, si hanno notizie almeno fino al 1785).

Nel 1527 il sacerdote si recò a Roma con l’obiettivo di promuovere il culto dei santi arcangeli. Divenuto cappellano della chiesa di Santa Maria di Loreto, ebbe dal cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte l’incarico di comporre, in collaborazione con don Girolamo Maccabei, la Messa e l’Ufficio dei sette angeli principi. Nella compilazione i due sacerdoti si basarono sui riferimenti della Sacra Scrittura ai sette principi celesti: in particolare, le sette luci del candelabro aureo di Mosè (Numeri 8) che don Antonio interpretava come la luce della protezione dei sette angeli verso la Chiesa. L’auspicio del sacerdote era che «come detto candelabro fu mirabile in Gerusalemme, capo del Vecchio Testamento, così in Roma, capo del Nuovo, si doveva fare una chiesa mirabile dei sette angeli e, come le sette lucerne furono collocate sopra detto candeliero per Aaron sommo dei Giudei sacerdote, così le sette immagini dei sette principi degli angeli, figurate dalle sette lucerne, dovevano essere esaltate per mano del sommo sacerdote dei cristiani».

Nel 1543 Antonio Lo Duca, recatosi a Venezia per far stampare il libretto con questi testi, commissionò un quadro tratto dal mosaico La Vergine tra i sette angeli che allora rivestiva la volta dell’altare maggiore nella basilica di San Marco. La copia si trova a Roma, nella basilica di Santa Maria degli angeli e dei martiri a piazza Esedra. Per identificare i sette arcangeli nel dipinto occorre leggere i cartigli in latino che ciascuno di essi ha in mano: Michele «Paratus ad animas suscipiendas» (Pronto ad accogliere le anime), Gabriele «Spiritus Sanctus superveniat in te» (Lo Spirito Santo verrà sopra di te), Raffaele «Viatores comitor, infirmos medico» (Accompagno i viaggiatori, curo gli infermi), Uriele «Flammescat igne charitas» (La carità divampi con il fuoco), Geudiele «Deum laudantibus praemia retribuo» (Concedo premi a quanti lodano Dio), Barachiele «Adiutor, ne derelinquas nos» (Tu che vieni in aiuto, non ci abbandonare), Sealtiele «Oro, supples, acclinis» (Prego, supplice, in ginocchio).

Un mattino dell’estate del 1541, nella chiesa di Santa Maria di Loreto, il sacerdote all’improvviso vide «una luce più che bianca» che partiva dalle rovine delle Terme di Diocleziano, al cui interno c’era l’immagine di san Saturnino, martire legato alla storia della costruzione delle Terme insieme con i santi diaconi Ciriaco, Largo, Smaragdo, Sisinnio, il ricco patrizio Trasone e san Marcello papa, che rappresentano i sette martiri più eminenti fra i condannati alla costruzione delle immense Terme. Quella luce gli indicava il luogo nel quale sarebbe dovuto sorgere il grande tempio dedicato ai sette angeli e ai sette martiri. Dopo aver celebrato la Messa, il sacerdote corse alle Terme e trovò l’ambiente centrale ancora ben conservato, così come gli era apparso nella visione. Da quel momento non esitò più a prodigarsi per promuovere un grande tempio alle Terme. Raccontò la visione al cardinale Dionisio Laurerio e al maestro di camera Bartolomeo Saluzio, il quale l’aiutò a scrivere i nomi dei sette angeli sulle colonne della grande galleria centrale delle Terme.

Il 17 dicembre 1555, concludendo la celebrazione della Messa dei sette angeli nella chiesa di Santa Maria di Loreto, don Antonio ebbe un’altra visione significativa, riportata nelle fonti della basilica romana: «Baciato l’altare, mi drizzai per dare la benedizione al popolo; sentivo da tutte le vene del corpo il sangue andar in alto insino alla testa e credendomi che fusse stato il sangue, nondimeno per gli effetti era l’anima la quale uscì dal vertice della testa; in quell’istante guardai giù e viddi che io stavo sopra il cielo del proprio colore azzurro e vedendomi tanto in alto ebbi paura, ero vestito delli miei vestimenti perché il corpo stava sopra l’altare vestito delli paramenti della Messa, ma riconoscevo che ero io di circa 25 anni; guardai innante circa passi cinquanta, viddi il cielo di fuoco, dal quale uscì fuore una turba di uomini accompagnata e mescolata d’angeli con le mani innanti et con allegrezza dicendo: “Buona nova, già è stato decretato dalla Santissima Trinità che la chiesa delli sette arcangeli assistenti a Dio nelle Terme Diocletiane sia consacrata; donde uscivano era di cornice di fuoco, quadrata, come la porta di Concistoro di Palazzo. L’angelo più appresso era l’arcangelo Uriele; io lo conobbi perché si rassomigliava a uno che io avea fatto dipingere di forma rossa li tempi passati».

La visione ebbe compimento nel 1560, quando papa Pio IV, di ritorno dal sopralluogo ai lavori di Porta Pia, incontrò don Lo Duca, il quale non mancò di rinnovargli la preghiera di consacrare le Terme con l’erezione di una nuova chiesa. Il 27 luglio 1561 Pio IV emanò una Bolla con la quale stabiliva l’erezione nelle Terme di una chiesa intitolata a Santa Maria degli Angeli, concedendone l’officiatura ai Certosini di Santa Croce in Gerusalemme, e il 5 agosto successivo si pose solennemente la prima pietra del nuovo edificio, per la cui costruzione ebbe l’incarico l’ormai ottantaseienne Michelangelo, alla cui morte subentrò il suo allievo Jacopo Del Duca.

Le Orazioni dei Sette Principi degli Angeli 

Il merito di Antonio Lo Duca, sta anche nella circostanza di aver dato alle stampe  un libretto di Preghiere sui Sette Arcangeli dal titolo "Septem Principum Angelorum Orationes cum antiquis imaginibus".  Questi esercizi, furono pregati per molti anni, tanto è vero che si riportano nelle seguenti opere: 

1) Aristotele de Benedictis, (Pietro Antonio Spinelli) - Nomina sanctorum omnium, qui habentur in martyrologio Romano, a Gregorio XIII reformato, & nouissime  anno 1598. Romæ impresso. Additis Litanijs communibus, nec non beatissimæ semper virginis Mariae, quæ in domo Lauretana dicuntur, nonnullisque alijs pijs precationibus (Nomi di tutti i Santi che si hanno nel Martirologio Romano riformato da Gregorio XIII) ; 

2) Psalteriun B. Virginis Mariae a S. Bonaventura Compositum, devotioni usque  Regii Monasterii Escacleatarum , apud Matritenses , hac nova editione  dicatum, 1679 (Salterio della Beata Vergine Maria , devozione e uso per il Regio Monastero delle Signore Reali Scalze di Madrid); 

3) Selva di orazioni di diversi santi Dottori e di molti scrittori antichi , et moderni,  Greci et Latini ; per ogni sorte di persone,  per ogni tempo,  et quasi per tutte le occasioni, ed. 1610 di Niccolò Aurifico de Bonfigli