SAN CIPRIANO (205 – 258)

Carmine Alvino

SAN CIPRIANO E I SETTE ARCANGELI

(Cartagine 205 circa – ivi 258) - Vescovo di Cartagine e padre della Chiesa

L' Enciclopedia TRECCANI ci da questi tratti biografici. Convertito circa quarantenne al cristianesimo, fu presto ordinato sacerdote e vescovo. Scoppiata (250) la persecuzione di Decio, Cipriano diresse la Chiesa disorientata da un rifugio presso Cartagine. Terminata la furia della persecuzione, di fronte al problema dei c.c. lapsi (cristiani che avevano apostatato per il paganesimo) desiderosi di tornare in seno alla Chiesa, e al rigorismo di Novato e Felicissimo (onde lo scisma, contemporaneo a quello romano di Novaziano), Cipriano mantenne un contegno moderato di fermezza e di comprensione (concilio di Cartagine, 251). Ma nel conseguente problema della validità del battesimo conferito nel frattempo dagli scismatici, Cipriano sostenne la necessità di ripetere il battesimo, contrariamente alla dottrina e alla prassi della Chiesa romana, rappresentata allora dal papa Stefano, secondo cui erano sufficienti la penitenza e l'imposizione delle mani. Durante tale controversia battesimale, Cipriano modificò il suo pensiero ecclesiastico (variamente discusso e interpretato), dapprima favorevole al primato effettivo del vescovo di Roma, poi propenso ad ammettere un primato solamente cronologico e, per così dire, genetico di questo e ad affermare l'autonomia in senso episcopale delle singole comunità. La polemica venne troncata dalla ripresa della persecuzione ordinata da Valeriano. Al martirio di papa Stefano (2 ag. 257) seguì quello di Cipriano, il quale, dapprima esiliato (30 ag. 257), fu poi condannato alla pena capitale, che subì a Cartagine (14 sett. 258).


Il culto di Cipriano valicò ben presto i confini della Chiesa africana; insieme al culto ebbero una diffusione straordinaria i suoi scritti (13 trattati e 65 lettere) unitamente alle memorie scritte intorno alla sua vita e al suo martirio (Vita scritta dal diacono Ponzio e Atti proconsolari), lasciando il ricordo di uno dei personaggi di maggior rilievo nella storia della Chiesa cristiana antica.


Tra i suoi trattati, per lo più parenetici (Trattato sul Padre Nostro - Trattato sulla Morte ) o apologetici (Ad Demetrianum), sono particolarmente notevoli i Testimonia ad Quirinum, l'opera sua più famosa e importante per la storia del testo latino della Bibbia in Africa. Documenti storici importantissimi sono altresì le sue lettere, soprattutto quelle dirette alla comunità e ai vescovi di Roma. 


SUI SETTE ANGELI E SU TOBIA 12,15

San Cipriano mostra una certa conoscenza del Libro di Tobia, che cita a piene mani, traendo interi brani da un prototipo originario che non sappiamo se redatto in greco e/o in latino.

Tra i codici completi più antichi che contengono tutta la Bibbia e in particolare il libro di Tobia  si distinguono il Codex Vaticanus (detto anche Codice Vaticano “B”), il Codex Sinaiticus e il Codex Alexandrinus.

Il Codice Vaticano redatto probabilmente intorno al 320 d.c. e il Codice Alessandrino redatto pare nel IV e V secolo, che vanno sotto il nome di G1 e che contengono tutto il libro di Tobia, non possono essere stati visionati da Cipriano perché molto successivi.

Stesso dicasi per il Codice Sinaitico, datato 330-350, anche questo successivo.

Resta dunque il dubbio da quale testo Cipriano abbia mutuato una definzione diversa da questi codici, che sul punto di Tobia 12,15 recitano :

  • 1A VARIANTE GRECA–CODICE ALESSANDRINO/VATICANO (detto: GI) - «Io sono Raffaele, uno dei sette santi angeli, che portano lassù (o presentano) le preghiere dei santi e sono ammessi davanti alla gloria del Santo».
  • 2A VARIANTE GRECA / CODICE SINAITICO (detto: א o GII) - «Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che stanno al servizio di Dio e che hanno accesso al Signore glorioso» .

Da questi due si discosta invece la terza variante greca:

  • 3° VARIANTE GRECA / (detta Giii  o terzo codice greco che si riferisce al c.d. manoscritto di Ferrara forma testuale che non segue il codice G1 di Tobia dal capitolo 6,8 al capitolo 13,8 - «Io sono Raffaele, uno di quelli che fanno assistenza davanti al Trono di Dio».

mentre la vetus latina recita, in modo congruente con gli scritti di Cipriano:

  • VETUS LATINA – «Io infatti sono Raffaele, uno dei Sette Angeli Santi che assistiamo e stiamo innanzi al volto dello splendore divino».

In ogni caso, quella di Cipriano è una delle menzioni più antiche di Tobia 12,15, richiamata ben due volte nei suoi trattati.


I SETTE ANGELI CITATI NEL TRATTATO SUL PADRE NOSTRO

La prima fonte si trova nel LIBER DE ORATIONE DOMINICA ovvero TRATTATO SUL PADRE NOSTRO , e questa la traiamo pure in doppia lingua – latina e italiana  - dal sito:

https://ora-et-labora.net/sanciprianopadrenostrolatit.html e recita come segue:

« XXXIII. Cito orationes ad Deum ascendunt quas ad Deum merita nostri operis imponunt. Sic et Raphael angelus Tobiae oranti semper et semper operanti testis fuit dicens: Opera Dei revelare et confiteri honorificum est. Nam, quando orabas tu et Sarra, ego obtuli memoriam orationis vestrae in conspectu claritatis Dei. Et cum sepelires tu mortuos simpliciter, et quia non es cunctatus exsurgere et derelinquere prandium tuum, sed abisti et condidisti mortuum, missus sum tentare te; et iterum me misit Deus curare te et Sarram nurum tuam. Ego enim sum Raphael, unus ex septem Angelis justis qui assistimus et conversamur ante claritatem Dei (Tob. XII, 11-15.)»

 Il testo italiano è tratto da: "L'ora dell'ascolto" a cura dell'Unione Monastica Italiana per la Liturgia, UMIL, Edizioni Piemme 1997; "Preghiere dei primi Cristiani" di Adalberto Hamman, Ed. Vita e Pensiero, 1962; "Cipriano Trattati" di Antonella Cerretini, Ed. Città Nuova, 2004 e recita al capitolo 33°:

  • « 33. Velocemente salgono a Dio le preghiere che pongono di fronte al Signore i meriti delle nostre azioni. Allo stesso modo l’angelo Raffaele si manifestò a Tobia, che pregava sempre e che sempre faceva elemosine: «Sicuramente è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio. Infatti quando tu e Sara pregavate, io ho portato la testimonianza della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore. Così come quando tu seppellivi con semplicità i morti; quando poi tu non hai esitato ad alzarti e a lasciare il tuo pranzo, ma sei uscito e hai sepolto quel morto, io sono stato mandato a tentarti; di nuovo però Dio mi ha mandato a curare te, Sara e tua nuora. Infatti io sono Raffaele, uno dei sette angeli giusti che stiamo davanti e conversiamo con la maestà di Dio» (Tb 12,11-15)». 

I SETTE ANGELI CITATI NEL SAGGIO SULLA MORTE

La seconda citazione proviene invece nel saggio  “DE MORTALITATE” o “SAGGIO SULLA MORTE” vista come un avvicinamento alla ricompensa finale promessa da Dio (accersitio dominica), e la traiamo pure da  Excerpta Patruum  continuata saeculi III,  S. Caecilius  Cyprianus  De mortalitate, Volume 17, Sanctus Cyprianus Caecilius, Thascius Caecilius Cyprianus, Vo. XVII, Salisburgo 1830 , pag. 13 – mentre per la versione italiana da: Trattato di S. Cecilio Cipriano sulla mortalita volto in italiano da F.C.G.C , edito in Napoli per i tipi del De Bonis nel 1837 .

CAPITOLO O PUNTO N. 7 « … Et Tobias, post opera magnifica, post misericordiae suae multa et gloriosa praeconia, caecitatem luminum passus, timens et benedicens in adversis Deum, per ipsam corporis sui cladem crevit ad laudem; quem et ipsum uxor sua depravare tentavit dicens: Ubi sunt justitiae tuae? Ecce quae pateris (Tob. II, 14). At ille, circa timorem Dei stabilis et firmus, et ad omnem tolerantiam passionis fide religionis armatus, tentationi uxoris invalidae in dolore non cessit, sed magis Deum patientia majore promeruit. Quem postmodum Raphael angelus collaudat et dicit: Opera Dei revelare et confiteri honorificum est. Nam, quando orabas tu et Sara nurus tua, ego obtuli memoriam orationis vestrae in conspectu claritatis Dei. Et cum sepelires tu mortuos simpliciter, et quia non es cunctatus exsurgere et derelinquere prandium tuum, et abisti et condidisti mortuum, missus sum tentare te, et iterum me misit Deus curare te et Saram nurum tuam. Ego enim sum Raphael unus ex septem Angelis sanctis qui assistimus et conversamur ante claritatem Dei (Tob. XII, 11-15)

  • « Tobia ben anche dopo le sue luminose azioni, e dopo molti e gloriosi tratti di misericordia, divenuto cieco, nell'afflizione temendo, e benedicendo Iddio, per questa stessa sua corporale infermità meritò somma lode: Anch' esso la di lui moglie tentò di corrompere dicendogli (i)» Dov'è la tua giustizia? ecco quello che soffi. » Ma l'uomo di Dio fermo, e stabile nel suo santo timore, e colle armi della fede, e della religione, disposto a tollerare ogni patimento, nei suoi dolori non cedette alle suggestioni della poco virtuosa donna, ma maggiormente si rese accetto a Dio con un eroica pazienza, sicchè in seguito meritò l'elogio fattogli dall'Angelo Raffaello con quelle parole  È cosa glo»riosa, palesare, e confessare in pubblico le opere di Dio: quando tu pregavi in compagnia di Sara tua nuora, io offeriva le vostre orazioni dinnanzi al cospetto di Dio; lo che similmente faceva quando tu davi ai cadaveri sepoltura: e perchè non tardasti a sorgere dalla mensa ed abbandonare il tuo pranzo per seppelire un morto, io sono stato spedito  a far prova di tua virtù, ed ora di  nuovo il Signore mi ha spedito per risanare te e Sara tua nuora. Io sono  Raffaele, uno dei sette Angeli Santi che  assistiamo e ci tratteniamo dinnanzi a Dio.  Questa tolleranza fu sempre propria de giusti; questa condotta appresero gli Apostoli dalla legge del Signore di non mostrare risentimento o inquietezza nelle avversità, ma sibbene accogliere con fortezza, e pazienza tutto quello che accade in questo mondo...».