Finito di scrivere: LA GERARCHIA CELESTE DI PSEUDO DIONIGI E’ STATA RESPINTA ?

QUARTA DI COPERTINA: Dai primi dubbi di L. Valla , passando per gli studi di H. Koch e J. Stiglmayr, di A. Romeo e F. Spadafora, attraverso le riflessioni di G. B. Mondin, di G. Mongelli, fino a M. Stanzione e Papa Benedetto XVI , si svela davanti agli occhi il clamoroso falso storico sottesto all’opera gerarchica del finto Areopagita Dionigi, autore del VI° secolo e non il Santo del I° sec., adepto delle correnti gnostiche e teurgiche di Proclo e Giamblico, che ha condotto attraverso triadi ed enadi, alla cancellazione del gruppo mistico / scritturistico dei Sette Arcangeli, dal generale contesto delle fonti sacre!
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INCIPIT DEL LIBRO
Nel Testo Sacro vi sono Spiriti di Massima Gerarchia: gli Arcangeli! Essi, si trovano in perenne davanti al Trono di Dio (Tb 12,15 – Ap 1,4 – Ap 8,2), come sette fiaccole ardenti (Ap 4,5), in adorazione perpetua, salvo essere inviati talvolta in terra , per scopi di grande importanza per il genere umano (Dn 10,13; Dn 12,1 – Gs 5,14 – Zc 4,10 – Lc 1,19).
Questo sicuro “dato di deposito” che si ricava chiaramente ed “ictu oculi” dalla lettura stratificata e sistematica di diversi passi del Testo Sacro non trova però riscontro, né risulta raccolto dalla teologia ufficiale che ritiene , al contrario, che spiriti di massimo livello, non possano mai essere spediti per compiti esteriori, e che gli Arcangeli, invece, siano angeli di livello basso perché a diretto contatto col genere umano.
Sempre la comune teologia ecclesiastica, non riconosce il numero reale di “7” arcangeli descritti nelle Sacre Lettere, ma preferisce considerare i passi in cui si nominano, come allegorie del molteplice, spiegando altresì che l’ “Arcangelo”, nella speciale categoria degli esegeti medievali, apparteneva solo al penultimo e ottavo coro ascendente sui nove cori di tradizione, collocato nel bassissimo luogo dell’ultima gerarchia (il primo posto è assegnato ai serafini).
Tuttavia la Sacra Scrittura è abbastanza esplicita e chiara sul punto!
Nel cap. 12° del LIBRO DI TOBIA, l'Angelo Raffaele rivela agli attoniti protagonisti di essere: «…uno dei Sette Santi Angeli, che portano lassù le preghiere dei santi e sono ammessi davanti alla gloria del Santo…» [utilizziamo il Codice Alessandrino].
Tale affermazione non rimane isolata al solo libro di Tobia, perché pure nel LIBRO DI ZACCARIA, al cap. 4,10 si parla di misteriosi: « … sette occhi del Signore che scrutano tutta la terra», mentre nel LIBRO DI DANIELE, viene rivelato al profeta, per bocca dell’ Arcangelo Gabriele, l’esistenza di un gruppo di esseri molto antichi [Dn 10,13]: i c.d. Primi Principi (in greco Proton Arcontes) ovvero Angeli primi creati , che possiedono la massima potenza e di cui fanno parte, oltre a Raffaele, anche Gabriele, Uriele e Michele, l’Angelo sommo e il loro capo assoluto chiamato: “o Arcon o Megas ” [Dn 12,1][1]. Per completare la parentesi veterotestamentaria, possiamo anche dire che nel LIBRO DI GIOSUÈ, Michele comparendo davanti al generale dell’esercito Israelita a preannunciargli la distruzione delle mura di Gerico, afferma addirittura di essere: «il capo dell'esercito del Signore» [Gs 5,14], che in greco suona : «ἀρχιστράτηγος δυνάμεως κυρίου» cioè : “capo delle virtù celesti” , meglio in ebraico: « ănî śar - ṣəḇā’- yəhwâ » ovvero: Principe dell’esercito del Signore».
Ciò significa che tutta la gerarchia celeste risponde a quello che secondo il sentimento sia di Giosuè 5,14 che di Daniele 12,1 è un ἀρχιστράτηγος δυνάμεως ovvero un ἄρχων o un ἄγγελος ὁ μέγας (a seconda della versione greca dei LXX o di Teodozione) cioè un generale/comandante supremo.
Nel Nuovo Testamento questi titoli sono rappresentanti da una crasi tra ἄρχων e ἄγγελος e, simboleggiati dalla parola ἀρχάγγελος – Arcangelo, epiteto descritto nella lettera dell’ Apostolo Giuda.
Questi sette spiriti , di massima levatura e grandezza, furono protagonisti anticamente di una tremendo scontro, ricordato dall’ Apocalisse al capitolo 12,7-9 in cui, Michele ἄρχων ὁ μέγας e i suoi Angeli, combattevano contro il Drago e i suoi Angeli. Michele: combatteva cioè contro Satana, chiamato in greco : ὁ δράκων ὁ μέγας, altrimenti detto «ἄρχων τοῦ κόσμου τούτου » di Giovanni 12,31 cioè il principe di questo mondo che è stato scaraventato fuori.
Tutti μεγάλοι, cioè di grado massimo, formavamo il più alto grado angelico, ovvero quello dei c.d. Proton Arcontes – πρῶτον ἄρχοντες primi principi (Dn 10,13), anche se uno di essi inevitabilmente si depravò e cadde assieme ad altri della medesima specie (Ap 12,7-9).
In tutta la Bibbia, dal Vecchio al Nuovo Testamento, essi dichiarano espressamente di fare parte dell’antico gruppo liturgico descritto in Tobia, Daniele e Zaccaria, i quali hanno come compito, quello di stare davanti al Trono di Dio, cioè ἐνώπιον τοῦ θεοῦ !
Apparendo nell’ Evangelo di Luca a San Zaccaria, padre del Precursore di Cristo, l’Arcangelo Gabriele, gli ribadì infatti: «Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio» [Lc 1,19].
In greco al cospetto di Dio è indicato ancora come ἐνώπιον τοῦ θεοῦ !
In ciò si evince la estrema autorità di questo Spirito, a diretto contatto con Dio e dunque , successivamente, proprio dallo stesso Dio inviato in terra, senza intermediari.
Tutto il gruppo liturgico lo troviamo poi definitivamente celebrato e magnificato nell’ APOCALISSE DI SAN GIOVANNI, specialmente al capitolo 1° allorché in estasi, all’Apostolo delle Divine Predilezioni furono offerte : «Grazia e pace dai Sette Spiriti che stanno innanzi al suo Trono» [ Ap 1,4][2].
Sul modello del Libro di Zaccaria, l’Apostolo che Gesù amava vide che «sette lampade accese ardevano davanti al trono, esse sono i sette spiriti di Dio» [Ap 4,5][3] e che Cristo stesso, divenuto agnello mistico, aveva: «… sette occhi, che sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra» [ Ap 5,6][4].
Di loro, ne parla ancor meglio al cap. 8 dove afferma apoditticamente: «Ho visto i Sette Angeli che stanno ritti davanti a Dio» [Ap 8,2 – CEI 2008][5] e con tale espressione, conferma la sicura esistenza dei sette ambasciatori celesti , gli unici a poter entrare, a preferenza degli altri spiriti innanzi alla divina maestà, i quali assistono l’Eterno.
Tale verità non trova però un corrispettivo nella dottrina e nel magistero cattolici, perché la chiesa non ne riconosce l’esistenza reale; non ne riconosce il numero, non ne approva i nomi.
Sovrappone infatti al dato biblico, un teorema incerto, che promana fittiziamente dalla tradizione orale, benche’ prodotto da una superfetazione esegetico - liturgica ben piu’ tarda rispetto al periodo apostolico.
Difatti, tra IV° e VI° secolo, l’ingresso nel generale contesto delle fonti sacre cristiane dell’opera: De Coelesti Hierarchia dell’ autore Pseudo – Dionigi l’ Areopagita provocò un cambiamento liturgico – esegetico e contro intuitivo della posizione, del ruolo, del numero e del ministero degli Arcangeli e una degenerazione morfosintattica del loro appellativo che da “massimo spirito” andò a designare un angelo di categoria inferiore.
L’opera in questione, infatti, nel dividere il mondo angelico in 9 Cori e 3 Gerarchie, stravolgeva l’assetto delle fonti, abbassando gli Arcangeli, dal vertice celeste in cui si trovavano al penultimo grado angelico, di poco sopra i semplici custodi.
Tacendo colpevolmente sull’intero gruppo dei Sette Angeli o Spiriti assistenti – che non venivano mai nominati – li privava poi di reale attenzione mistico-profetica e/o dogmatica da parte di lettori, espositori, veggenti e teologi, aprendo al loro diretto disconoscimento.
A lungo ritenuto il vero Dionigi Aeropagita, solo nel XIX secolo, grazie agli studi congiunti di Hugo Koch e Joseph Stiglmayr si comprese il grave errore liturgico, esegetico e scritturistico che aveva attinto purtroppo numerosi Santi, Beati e Dottori della Chiesa, i quali lo avevano confuso per il grande Santo ateniese del I secolo, convertito da San Paolo assieme alla donna Damaris.
Si trattava dunque di un personaggio ben più tardo, perlomeno del V° o del VI° secolo, discepolo del neoplatonico Proclo e dell’esoterista e teurgo Giamblico.
Così, abbagliati dalla sua grande autorità, presto tutte le più grandi personalità del Cristianesimo medievale e non solo cominciarono ad appoggiarsi esegeticamente agli scritti del finto discepolo di S. Paolo, stravolgendo l’assetto delle fonti sacre e deturpando il significato del Testo Sacro, riletto sotto la distorta luce della gnosi greca[6].
Ben si può immaginare la posizione ermeneutica in cui viene a trovarsi il fedele che oggi legge il Corpo Dionisiaco con la consapevolezza che il suo autore non è il santo Dionigi ma un falsario, e addirittura con alle spalle l'ipotesi che non sia neppure un cristiano, ma perfino un avversario del Cristianesimo, o comunque un autore che intendeva assorbire il Cristianesimo nel Neoplatonismo o il Neoplatonismo nel Cristianesimo.
Da diversi anni, dunque, abbiamo concentrato diverse parti dei nostri studi sull’ analisi del delicato contesto storico-religioso in cui sorse per poi in seguito consolidarsi quel corpo di scritti che va sotto il nome del Santo del I° secolo Dionigi, ma che del I° secolo non sono: il c.d. Corpus dionisiaco.
Delle quattro opere di cui è composto: De Coelesti Hierarchia, De Ecclesiastica Hierarchia, De Divinis Nominibus, De Mystica Theologia, oltre alle dieci lettere, quella che abbiamo voluto contestare è stata la Gerarchia Celeste, almeno per quattro ragioni abbastanza evidenti:
- La strana posizione gerarchica degli Arcangeli, posti nel basso della terza gerarchia infima e addirittura all’ottavo posto delle 9 classificazioni.
- Il sistema estremamente rigidi di trasmissione della luce divina unitamente ad una costruzione troppo statica della soteriologia ad esso sottesa.
- La singolare assenza del gruppo dei 7 Arcangeli nominati in Tobia e Apocalisse, dalla principale opera angelologica della cristianità.
- La presenza di Serafini immobili e mai inviati in terra, la cui funzione è la perpetua adorazione del principio sovra essenziale.
Andando più a fondo, abbiamo appreso che questa catalogazione novenaria non fosse biblica, perché in nessuna parte del Testo Sacro sono enumerati 9 Cori, mentre vi è la presenza perlopiù disparata di nomenclature che talvolta sono chiaramente affibbiabili ad Angeli, talvolta sono dubbie, se non addirittura contrarie a Cristo[7].
Abbiamo anche scoperto che il preteso autore di quest’opera, che si nomina : “Dionigi Areopagita”, non era il vero Santo del I° secolo, bensì un filosofo più tardo di 500 anni, dunque: un impostore, un falsario, un millantatore, e che la circostanza fosse ormai notoria agli addetti ai lavori, ai religiosi, ai vescovi ed agli esegeti, ma sconosciuta perlopiù ai fedeli, lasciati in uno stato di evidente confusione!
Abbiamo infine appreso come durante tutto il Medioevo, la finzione letteraria di cui si era ammantato avesse tratto in inganno diversi dottori della Chiesa, i quali, interpretando il Testo Sacro alla luce di questo scritto ritenuto di provenienza del I° secolo, ne avevano così alterato il senso comune e la percezione generale.
Si è trattato dunque di un errore esponenziale, che, ben lontano da quella logica che vuole fare salva la “storia degli effetti”, del filosofo Hans-Georg Gadamer ha prodotto una superfetazione e/o un’alterazione del pensiero cristiano finito direttamente nell’universo della gnosi greca.
Solo infatti alla fine del secolo XIX° – trascori ormai ben più di un millennio dal rinvenimento di questi scritti - i teologi e filologi tedeschi, avevano chiaramente smascherato l’impostura, accostando il finto Dionigi al filosofo neoplatonico Proclo (411/12-483), l’ultimo grande maestro della scuola di Atene, chiusa definitivamente nel 529 d.c., anno in cui l’imperatore Giustiniano proibì ai pagani l’insegnamento pubblico, che promuoveva una dialettica triadica dell’Esistere, molto simile al modo con cui anche il finto Dionigi, spiega tutta la realtà sovrasensibile.
La questione dunque è capire se oggi questo sistema, così pesantemente colpito dagli studi tecnico - ermeneutici e filologici degli ultimi due secoli, possa essere ancora ritenuto valido per il fedele - certamente lo rimane per studiosi e filosofi - , anche tenendo presente che la mancata riconducibilità dello stesso all’età apostolica, ne limita l’autorevolezza con cui era stato tenuto di conto durante il medioevo.
La presupposizione logica secondo cui quelle teorie sarebbero state insegnate all’ Areopagita da Paolo in persona, e a questi da Cristo scorto in visione mistica, e la retro - databilità di queste teorie al primo secolo della fede, non possono più essere ritenute possibili e conseguentemente, deve parlarsi, con loro riguardo, di superfetazioni la cui compatibilità con il sistema cristiano resta tutta da dimostrare. Il contesto tardivo, così rinvenuto, rispetto alla predicazione apostolica impedisce la sussunzione diretta di queste fonti deprivandole dell’inerranza esegetica di cui si erano ammantate fino almeno al secolo scorso ed aprendo alla loro criticabilità
[1] San Clemente di Alessandria, riflettendo su questo passo afferma: « sette meritatamente sono quelli in cui risiede un sommo potere; sono questi i sette Principi primogeniti degli Angeli, per cui mezzo Iddio presiede a tutti gli uomini e per questo sono chiamati suoi occhi nell’ Apocalisse» {Stromateis cap. VI°}
[2] καὶ ἀπὸ τῶν ἑπτὰ πνευμάτων ἃ ἐνώπιον τοῦ θρόνου αὐτοῦ
[3] καὶ ἑπτὰ λαμπάδες πυρὸς καιόμεναι ἐνώπιον τοῦ θρόνου, αἵ εἰσι τὰ ἑπτὰ πνεύματα τοῦ Θεοῦ
[4] καὶ ὀφθαλμοὺς ἑπτά, οἵ εἰσιν τὰ [ἑπτὰ] πνεύματα τοῦ θεοῦ ἀπεσ ταλμένοι εἰς πᾶσαν τὴν γῆν
[5] καὶ εἶδον τοὺς ἑπτὰ ἀγγέλους οἳ ἐνώπιον τοῦ θεοῦ ἑστήκασιν
[6] S. Tommaso ad esempio, nella sua Summa Theologica, T. 1, q. 112, sulla scorta di tale opera, che riteneva divinamente ispirata, fu indotto ad abbassare il grado angelico di San Raffaele portandolo tra gli Angeli infimi, e conseguentemente rese allegorico il gruppo dei Sette Divini Assistenti, interpretando la sua sacra rivelazione come simbolizzazione della moltitudine dell’esercito celeste. Il caso più emblematico è quello di Gregorio Magno, che nelle sue omelie sui Vangeli, ebbe meravigliosamente a statuire che: « …alla Vergine Maria non viene inviato un Angelo qualsiasi, ma l'Arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un Angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi… » [Om. 34, 8-9; PL 76, 1250-1251], ma applicando a tale definizione la teoria esegetica di pseudo – Dionigi, precisava invece: «quelli che annunziano cose minime sono gli Angeli, e quelli che annunziano cose maggiori sono chiamati Arcangeli», relegando in tal modo gli stessi solo nell’ VIII Coro angelico. Ciò perché Gregorio, seguiva espressamente pseudo – Dionigi su queste catalogazioni, come indicato nella sua 34 Omelia, ove cita al punto 12 questo autore come « Dionigi l’Areopagita, antico e venerando padre … ».; quando, in realtà, era un suo contemporaneo!!! L’errore coinvolse pure il celebre e beato Duns Scoto, cantore dell’ Immacolata Concezione. Egli infatti mostra di aver frainteso la figura dello pseudo – Dionigi già nelle epigrafi delle sue opere: “Expositiones super Ierarchiam Caelestem S. Dionisii” (Esposizione sulla gerarchia celeste di San Dionigi) e “Versio Operum S. Dionisii Aeropagitae” (Versione delle Opere di San Dionigi Aeropagita), perché si riferisce all’autore delle stesse credendolo il vero santo del primo secolo. Scoto, convinto dell’apostolicità degli scritti di Dionigi, lo qualificava ‘autore divino’ per eccellenza; gli scritti di lui furono perciò una fonte eminente del suo pensiero. Si dedicò per tutta la vita ad approfondire e sviluppare il suo pensiero, attingendo a questi scritti, al punto che ancora oggi qualche volta può essere arduo distinguere dove abbiamo a che fare col pensiero di Scoto Eriugena e dove invece egli non fa altro che riproporre il pensiero dello Pseudo Dionigi. Si sarebbe forse ben guardato pure Nicola Cusano – sostiene al riguardo l’Autore Raffaele Dolce, nell’articolo “Dionigi Areopagita Theologorum Maximus” - dal considerare Dionigi Teologo Massimo se fosse stato a conoscenza della sua falsa identità. A differenza di un lettore moderno Nicola Cusano non poté avere il privilegio di guardare a Dionigi l'Areopagita autore del Corpus Dionysiacum quanto meno con sospetto.
[7] Tale circostanza è stata individuata in un capitolo dedicato agli angeli nell’epistolario apostolico del V° volume della Collana Editoriale: Arcangelologia, pubblicata dall’ Editore Segno di Udine.
