SECUNDO HEREDIA DEL RIO

Carmine Alvino

SECUNDO HEREDIA DEL RIO E I SETTE ARCANGELI

  • BIOGRAFIA: documentazioni fornite dal dott: Javier Sorribes y Gracia come tradotte e sintetizzate dall' Avv. Carmine Alvino. 
  • DIFESA DI SEGUNDO HEREDIA - La traduzione della difesa scritta da Segundo Heredia del Rio per i Sette Arcangeli e presentata innanzi al Papa Gregorio XVI durante la quarta proposizione della Causa per la  Restaurazione ed Estansione del loro culto  è stata eseguita dall' Avv. Carmine Alvino).

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BIOGRAFIA SINTETICA

Segundo Heredia del Río: Sacerdote e Missionario Apostolico ad Honorem è fratello di Pedro Maria Heredia del Rio, il cavaliere spagnolo che ha presentato le cause per la Restaurazione, il Riconoscimento e la Estensione del Culto degli Arcangeli innanzi ai Papi della prima metà del XIX secolo. Nacque il 13 maggio 1777 a Cabra, diocesi di Córdoba, da genitori nobili che alla loro morte lo lasciarono con notevoli beni.  Fin dai primi anni studiò alla scuola di Padri Scolopi di Daroca: lì imparò le prime lettere, e quando fu in grado di proseguire gli studi, i padri di quel seminario gli insegnarono la latinità, la matematica, la filosofia e la poesia; facendosi amare dai suoi insegnati per la sua applicazione e per la bontà delle sue inclinazioni.  Nel 1793, si recò a Madrid, con la madre Teresa Angela del Río, dove si agitavano le feste e si alimentavano gli intrighi, tipici dello stato in cui si trovava la nazione a quel tempo.  L'anno successivo lo vediamo a Cabra impegnato nell'amministrazione dei suoi beni e dedito agli esercizi di pietà tipici della sua anima. La sua scrupolosissima coscienza desiderava ritrovare nei suoi direttori quelle qualità che aveva visto brillare nei suoi primi maestri e negli studiosi ecclesiastici in cui si era imbattuto durante la sua permanenza a Madrid: fu così che scelse un sacerdote come suo confessore Antonio Herrera Valenzuela che abitava ad Aguilar de la Frontera, a tre leghe dalla città: un uomo tenuto in grande conto in quelle vicinanze, sia nella conoscenza che nella pietà; riuscendo a  conquistare talmente tanto  l'affetto del suo illustre penitente che, dopo la morte di donna Angela, nel 1800, suo figlio lasciò la casa padronale e andò a risiedere accanto al suo direttore spirituale. Continuò a vivere ad Aguilar con una vita così umile e  ritirata. Seguirono i gravi  eventi di Madrid e l'intera nazione insorse  contro l'usurpatore francese. Tutte le menti ardevano degli stessi sentimenti di patriottismo e spirito religioso. Avendo speso molto dello spirito in quella guerra, padre Heredia seguì naturalmente l'impulso generale e andò a incontrare i suoi due fratelli, Pedro e Tomas, che erano militari nelle truppe nazionali. Tornato dopo molte peripezie ad Aguilar, la "religione" giunse alla consolazione di  Segundo, proprio quando dovette piangere la morte del suo Padre Spirituale avvenuta intorno al 1812. Si trasferisce quindi a Cordova, e vi resta fino al 1824, trascorrendo lunghe ore in confessionale, assistendo i malati e praticando altri atti di pietà.  Nel 1825, poco prima di trasferirsi a Roma, affidò l'amministrazione del suo patrimonio al fratello Tomas, con l'incarico speciale di distribuire i suoi prodotti tra i poveri, e partendo dalla Spagna con il fratello Pedro Maria si recarono in pellegrinaggio nella capitale della governo cattolico. Vi arrivarono il 16 ottobre dello stesso anno, in occasione del giubileo, visitando ripetutamente a piedi le basiliche designate. Godendo qui di maggore libertà nell'esercizio delle sue funzioni sacerdotali, P. Heredia dedicò molto tempo alla scrittura di diversi libri, che pubblicò durante il suo soggiorno in quella capitale. Aduso al parlare italiano, e addestrato negli esercizi dal pulpito, predicava con molti applausi in alcune chiese di Roma, e soprattutto davanti alla congregazione istituita per dirigere l'educazione dei giovani. Quella di Propaganda fide premiò il fervore del nostro sacerdote, nominandolo missionario apostolico ad honorem, il 23 novembre 1825. Tornato in Spagna, nel luglio 1830, portò con sè la salma di San Faustino martire, che doveva alla generosa pietà del Sommo Pontefice; dono sacro che apprezzò così tanto che da portarlo sempre con sé durante le sue missioni, e lo mise su un altare portatile, che teneva per privilegio di Sua Santità. In Spagna continuò il corso della sua predicazione per le città dell'Andalusia: provincia che lasciò nel 1835 a causa delle vicende politiche che si svolgevano in quel periodo.  Morì a Soria l'11 giugno 1849, all'età di settantadue anni, dopo una vita esemplare e laboriosa. Nonostante i suoi sermoni fossero stati così innumerevoli, ne sono stati raccolti solo pochi , scritti in spagnolo e in lingue straniere.


PUBBLICAZIONI: Ha lasciato diversi manoscritti:

  • Virginis inmaculatae concepte Dolaecologia Rithmica cum ad notationibus, Romae XVI Calendas Decembris anno 1828.
  • Secundus ab Heredia missionarius hispanus; una sorta di vocabolario che spiega molte parole importanti, a cominciare da quella di Assoluzione, e termina con quella di Visione;
  • Opusculum pro Inmaculata Conceptione B. M. Virginis; Brevis dissertatio de Processione Spiritus Sancti a persona Filii...
  • Lettera del sacerdote Segundo de Heredia, missionario apostolico, indirizzata al Papa, su varie opere pubblicate da padre Lacunza, di cattiva dottrina la cui lettura provoca gravi danni ai fedeli di Spagna e America. 

SUI SETTE ANGELI  DON SEGUNDO CI LASCIA UNA:

  • Quaestio Teológico, Canónico, crítico. Litúrgica de cultu Septem Principum Angelorum. Roma, 1830. (Inclusa nella quarta causa apostolica per la restaurazione del culto degli Arcangeli, proposta intorno all'anno 1831 innanzi a Sa Santità Gregorio XVI).

DAL SOMMARIO ADDIZIONALE QUESTIONE TEOLOGICO – CANONICO – CRITICO LITURGICA DEL CULTO DEI SETTE PRINCIPI DEGLI  ANGELI  SULLO  STILE  DI  SAN TOMMASO

NUM. 1 - Dissertazione del culto dei Sette Angeli, scritta da Secundo Heredia del Rio, presbitero e missionario apostolico.


  • ARTICOLO I° - Se si debba concedere un culto pubblico ai  Sette Angeli Principi

Si procede così al primo punto.

  • Sembra, che non si debba mostrare un culto pubblico ai Sette Principi degli Angeli, perché il numero settenario è simbolo di universalità. Dunque sarebbe identico mostrare un culto pubblico sia a quei Sette, che a tutti gli Angeli.
  • Inoltre, le feste non si devono moltiplicare senza una precisa ragione: se già nella chiesa c’è la festa di San Michele, S. Raffaele e San Gabriele, che si annoverano tra quei Sette, e nella festa della dedicazione a San Michele già viene esibito un culto pubblico a tutti gli Angeli, dunque non si deve istituire un’altra festa anche per i Sette Principi degli Angeli.
  • In più la Chiesa, da tempi antichi non celebra la festa dei Sette Principi degli Angeli,  cosa che avrebbe fatto se davvero fosse stato conveniente istituire la loro festa; dunque non è perché la Chiesa istituisca la festa dei Sette Angeli ai giorni presenti.
  • Ancora di più, sebbene la Chiesa abbia moltiplicato le festività dei Sant’uomini, ciò fu fatto affinchè grazie all’esempio dei Santi che già sono in Cielo con Cristo, si ecciti la devozione dei fedeli ad imitarli; la quale ragione non si intravede anche nei Santi Angeli: non è dunque perché alle festività già stabilite dalla Chiesa, se ne stabiliscano anche altre ai Santi Angeli.
  • Ma contro tutte queste cose c’è ciò che afferma  l’ Apocalisse al capitolo 1: « Grazia a voi e pace da colui che era , che è e che viene e dai Sette Spiriti che stanno al cospetto del Suo Trono».
  • Rispondo dicendo che sette sono i Principi degli Angeli, come mostra principalmente Cornelio a Lapide contro le opinioni di pochi nel capitolo 1 dell’ Apocalisse.  Conferma ottimamente la circostanza che anche in altri luoghi dello stesso Libro Sacro, espressamente si nominano sempre gli stessi Sette, massimamente in Tobia 12 dove l’Angelo Raffaele disse: sono uno dei sette che assistiamo davanti al Signore, cioè in modo più prossimo, così infatti significa il verbo “astare”.  In aggiunta a  questa evidenza si deve anche considerare ciò che anche Esther 1 afferma sul re Assuero, il quale aveva “sette capi della Persia e della Media che erano suoi consiglieri e sedevano ai primi posti nel regno”. Questi capi, come osserva Cornelio a Lapide citato allo stesso luogo,  in ciò si fanno imitatori di Dio e della sua provvidenza divina. Infatti, come dice l’autore del Libro “De Mundo ad Alexandrum” e da questo Apuleio, la maestà e il governo dei Re di Persia fu immagine della Maestà e della Provvidenza Divina. Ed insegna la stessa cosa, ex adverso,  il libello “ De Regio Persarum Principatu” di Barnabè Brisson.
  • Osserva inoltre su queste cose Cornelio a Lapide che nella Sacra Scrittura non vi sia menzione dei Sette Angeli se non dopo che gli Ebrei furono in schiavitù  e poterono vedere li nell’aula regia dei Persiani e dei Medi questi sette primi principi dei Regni. Ed allora anche ad essi fu rivelato che nell’aula celeste vi siano altrettanti Principi di Dio. Cosa che prima di quel periodo era stato rivelato soltanto a Tobia, come detto sopra, il quale era stato in prigionia presso gli Assiri, di cui però non risulta che vi fossero sette Principi nelle loro Regie. Inoltre è certo che più espositori Cattolici rappresentassero il Re Assuero come una figura divina, come soprattutto appare in ciò che aveva detto Ester alla Regina  al capitolo 15, versetto 1f: “Il nostro ordine riguarda solo la gente comune. Avvicinati!”, perché così come le parole proferite da  Dio a Maria Vergine,  tutti comunemente si riferiscono alla sua Immacolata Concezione.
  • Va ancora notato che per questi motivi la Chiesa celebra le Feste dei Santi, da cui possiamo ottenere se quelle ragioni possono anche adattarsi al culto dei Sette Angeli. Su tale questione non c’è nulla di meglio di quanto non possa insegnarci Benedetto IV nella sua famosa opera sulla Canonizzazione e Santificazione dei Santi (De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione  n.d.a. ) perché è ritenuta da moltissimi una regola comune nella Curia Romana Ecclesiastica. Il libro 1 Cap. 13 dice quanto segue: concordare , preparare e ultimare la canonizzazione dei Santi è talvolta cosa utile. E in primo luogo perché «Dio è lodato nei suoi santi, e mentre onoriamo i servi, l’onore si riversa nel Signore» . In secondo luogo, «perché conviene sommamente che chi è santo presso Dio sia anche ritenuto santo dagli uomini ». E dopo la terza ragione, che può essere valida soltanto per i  Santi umani, aggiunge in quarto luogo «perché conviene che presso il Signore si moltiplichino i nostri intercessori». Nessuno potrà dunque dubitare, che tutte le prefate ragioni non si addicano massimamente anche ai Sette Principi degli Angeli.
  • Che infatti noi dobbiamo venerare i Sette Principi degli Angeli per una ragione speciale lo si ricava primariamente nel testo sopra riportato del Capitolo 1 dell’ Apocalisse dove San Giovanni chiede a Dio la grazia esplicitamente per mezzo dei «Sette Spiriti che sono al cospetto del Suo Trono» . Quello che si deve correttamente comprendere in questo passo, come spiega Cornelio a Lapide, è che San Giovanni implorava la grazia non da loro come artefici, ma da loro come Ministri divini, perché «chi infatti, nell’aula regia riceve  grazia e pace dai Principi più vicini del Re, e come se le ricevesse dallo stesso Re». Da ciò risulta chiaro che, questi Sette Principi degli Angeli, che stanno davanti al Trono di Dio, debbano essere frequentemente invocati dalla Chiesa con un culto speciale, come sostiene Cornelio a Lapide. Ciò, peraltro, può farsi risalire alla medesima prassi della Chiesa che invoca in nostro aiuto da Dio, anche gli Angeli inferiori, allorquando si aggiunge nella preghiera di Completorio, in qualunque chiesa o abitazione, recitata da chicchessia, quanto segue:  «Che i tuoi angeli santi la abitino, e che noi possiamo restare in pace». Ed allo stesso modo, nel  Salmo 90 [91] : « Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell'Altissimo la tua dimora» è recitato da tutti nello stesso completorio: « Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi».
  • E non risulta sconveniente che nei primi tempi della Chiesa non sia stata celebrata una festa particolare per i Sette Principi degli Angeli. Infatti, allora non era conveniente fare ciò a beneficio di altri Angeli,  soprattutto per la circostanze che gli uomini di quei secoli erano molto orientati all’idolatria ed è per questo che il Concilio di Laodicea, giustamente proibì il culto degli Angeli, a causa della superstizione di coloro i quali, seguendo le preghiere dell’eretico Simone, si riunivano e si affollavano  per proporre  un culto divino a Michele e agli altri Angeli. Ma dall’anno 1516, tuttavia, risulta istituito nella Città di Palermo il culto dei medesimi Sette Angeli con Officio e Messa, la quale risulta pure presente in antichi messali romani.
  • In relazione al primo punto va detto che sebbene sia vero che il numero settenario talvolta sia simbolo di universalità, non tuttavia per questo quel simbolo può riguardare anche questi Sette Principi degli Angeli, sia perché sono pochi coloroche li interpretano così, come appare evidente presso lo stesso Alapide, sia anche perchè nell’Apocalisse si nominano di frequente i Sette Angeli, se non intendendoli proprio come Sette Individui, come appare chiaro nel capitolo11 versetto 15 ove si dice: « Il settimo angelo suonò la tromba» ovvero nel capitolo 16 dove “i Sette Angeli” si nominano comeministri della Giustizia divina, o ancora nel verso  17 dove anche si dice: « Il settimo versò la sua coppa nell'aria ». Allo stesso modo si nominano nel capitolo 17 versetto 1, dove si dice: « Allora uno dei sette angeli che hanno le sette coppe mi si avvicinò». Senza dubbio, il modo di parlare di queste cose  si accorda in tutto con il modo di parlare che fu utilizzato dall’Angelo Raffaele, quando disse a Tobia che fosse:« uno dei sette», come abbiamo detto sopra.
  • In relazione al secondo punto, di deve dire che non sia senza motivo che la festa dei Sette Angeli venga celebrata , nonostante già  per  alcuni di loro dalla Chiesa sia stata stabilita una festa, così come ci insegna peraltro la prassi della nostra Chiesa, che nel giorno 11 di febbraio  concesse a tutte le Chiese dei Servi di Maria di celebrare assieme  la festa di quei sette fondatori dell’Ordine, nonostante allo stesso ordine fosse stato già concesso di celebrare nel giorno 17 dello stesso mese la particolare festa del Beato Alessio Falconieri, il quale fu appunto uno dei Sette Fondatori.  La Chiesa concesse anche  a moltissimi altri ordini religiosi la festa di tutti i loro Santi nonostante avesse già concesso loro la festa particolare di ciascuno di loro singolarmente, cosa che anche avviene nel giorno primo di Novembre, quando allo stesso modo viene celebrata la festa di tutti i Santi.  E talvolta accade che durante l’anno si celebrino più feste di uno di questi stessi Santi come nel giorno della traslazione, della canonizzazione della morte e in altre simili circostanze.
  • In relazione al terzo punto si deve dire che non sarebbe stato giusto che la Chiesa anticamente avesse celebrato anche la festa dei Sette Principi degli Angeli, per la ragione succitata del Concilio di Laodicea. Non appare dunque strana lacircostanza che nei primi Secoli dela Chiesa non si fossero celebrate le feste di alcuni Santi, che poi sarebbero state istituite nei secoli successivi. Come infatti insegna l’eminentissimo Cardinale Gotti [1] (nella verità della Cattolica Religione) parlando delle Vecchie sentenze dei Padri sull’Assunzione della Beata Vergine Maria: «  Per tutto il tempo in cui la Chiesa rimase abitualmente attaccata alla Greca,  per alcuni  secoli entrambe (ebbero dei) dubbi, ma successivamente,  illuminata da Dio con  nuove luci depose ogni incertezza. Non tutte le verità della fede vengono infatti manifestate nella Chiesa allo stesso tempo, ma nel tempo in cui  il Santo Spirito avrà  ritenuto opportuno». E ciò chiaramente ci insegna il prelodato Benedetto IV (nei 12 volumi delle opere pubblicate dallo stesso, al tomo 10) che la festa dello sposalizio della Beata Vergine Maria non fosse stata istituita nella Chiesa prima del quindicesimo o sedicesimo secolo.
  • In relazione al quarto punto di deve dire che come detto sopra, vi sono altre ragioni addotte da Benedetto XIV per l’istituzione delle feste dei Santi, che ottimamente si attanagliano alla festa dei Sette Principi degli Angeli; in primo luogo infatti la loro intercessione,  di cui sono istruiti  tutti coloro che si infiammano con la loro devozione. Tra i quali si annovera il padre Apostolico Antonio Ruiz de Montoya, eletto come Apostolo della società di Gesù per il Paraguay ,  che non riuscendo a introdurre la fede nella Provincia del Tayaoba, sebben avesse inutilmente tentato per ben due volte, ottenne tuttavia ciò dopo che per sette settimane di esercizi con sette ore continue di preghiera in norere dei Sette Principi degli Angeli fissò per sé, come scrisse lo stesso Servo di Dio al Padre Nicolaus Durham  suo provinciale , la cui lettera nel libro secondo, capitolo16 della sua vita. Che senza dubbio, sebbene non constasse da altre fonti che dalla espistola riferita dal  medesimo venerabile padre, deve comunque far fede, come infatti insegna il citato Benedetto XIV al libro 3 cap 10 : « che sia stato certamente di cattivo gusto non prestare fede a coloro che, da servi di Dio abbiano riferito cose  di se stessi».

ARTICOLO II°  - Se si debbano nominare altri Principi degli Angeli

  • Così si procede in relazione al secondo articolo. Sembra che non si debbano nominare i Sette Principi degli Angeli.
  • In primo luogo, perché tranne che per quei tre che sono nominati nella Sacra Scrittura, cioè Michele, Gabriele e Raffaele, non consta con certezza che ve ne siano sette di loro.
  • Inoltre il nome Uriele non si trova se non nel libro 3  e 4 di Esdra che sono apocrifi e nel Concilio Romano celebrato sotto Papa Zaccaria, fu condannato l’eretico Adalberto, che con quel nome e altri – diversi dai nostri – invocava dei demoni.
  • Inoltre altri tre, che si dicono chiamarsi Sealtiele, Geudiele e Barachiele  - i quali tuttavia non sono mai stati nominati dall’eretico Adalberto – non si ritrovano in alcun libro della Scrittura.
  • Ancora, l’immagine che , come già detto, fu ritrovata  a Palermo con i Principi degli Angeli e i loro nomi non sembra possedere alcuna autorità e nelle opere di Benedetto XIV “de Servorum Dei Beatificatione e Canonizatione” sembrano essere stati respinti, e quando – come li si legge – furono introdotti a Roma nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri dal pio sacerdote siciliano Antonio lo Duca, tanto presto furono fatti  poi da li cancellare.
  • Ma contro tutte queste cose si contesta quello che afferma Cornelio a Lapide : “ La controversia e su questi nomi riveste davvero poco conto , essendo evidente la questione tanto dai fatti quanto dalle persone (sul capitolo1 dell’apocalisse).
  • Rispondo dunque dicendo che non vi sia minimamente da dubitare dell’esistenza dei Sette Principi degli Angeli, giusta quelle cose che sono state dette sopra. Perché inoltre anticamente nella Chiesa ciò fu sancito molto bene, allorquando  il celeberrimo Clemente Alessandrino, pubblico professore nella sua Cattedra di Alessandrina, ebbe a lasciare scritto nel libro 6 degli Stromateis: « Sette sono coloro che detengono la massima potenza, i Primogeniti Principi degli Angeli», e quell’ autorità dell’ Alessandrino sui sette Angeli fu recepita con rispetto da numerosi dotti e pii .  Sui nomi, invece , si ritrovano moltissimi Autori, che negano che si debbano nominare, atterriti da un certo qual timore, che cioè gli eretici potessero irridere la Chiesa Romana, qualora tali nomi fossero stati approvati. Poiché tuttavia, anche  i più dotti tra gli eretici sono concordi a ritenere che il Pontefice Benedetto IV di Santa Memoria, abbia goduto , contemporaneamente sia di sapienza che di sana conoscenza, dobbiamo ancora una volta verificare se, grazie ai principi espressi in quella sua  eruditissima opera dal titolo:  “ De Servorum Dei Beatificazione & Canonizatione” questi nomi possano essere ammessi o meno, essendo sicuramente certo, che in qualsivoglia scienza siano contenuti principi e regole o canoni dai quali essa stessa procede affinché risulti chiara all’interprete.
  • Sono queste dunque le regole che il lodato Benedetto esprime sui nomi dei Santi, al capitolo 28, libro 4 n. 13, ove dice: « Un nome può essere imposto se da segni risulti che il corpo o le reliquie appartengano a qualche Santo Martire, e non si trovi notizia alcuna sul nome con cui quel martire fu chiamato » .  Questo nome infatti viene imposto da un Cardinale Vicario, e ciò accade lodevolmente = e richiama sul punto Giovanni Ferrando nella sua “Disquisizio Reliquiaria”[1] (libro 1 cap 5) over  afferma: «  che grazie all’esperienza e all’uso quotidiano vediamo , che i fedeli,  fanno preghiere con molto minore affetto, studio e officio di pietà e sensibilità sulle spoglie di quegli uomini divini i cui nomi mortali vengano a mancare piuttosto di quelli che abbiamo nomi certi; le cose per noi  note e certe sono solite  spingere in modo più potente  i nostri animi rispetto a quelle oscure,  ignote e incerte, e ciò produce dunque un maggiore avvicinamento di tutti sia alla gloria divina che al culto e alla venerazione delle cose celesti.  Perché per  dotare in questo modo, le spoglie incerte dei Santi di nomi certi, non c’è alcuna convenzione oltre l’istituzione della Chiesa Cattolica, né alcun patto contrario alla stessa consuetudine? Perché su questa circostanza non c’è nulla di meglio di Dio o che da Cristo Salvatore sia stato stabilito; è sufficiente infatti che i suoi Vicari e Ministri in terra abbiano richiesto di definire in tal modo  ciò che avessero giudicato   utile alla Sua maggiore gloria e da celebrarsi in modo prudente e conveniente al culto dei Suoi Amici». E al numero 14 afferma la medesima regola, lo stesso Benedetto IV,  precisando che questo fosse stato costume antichissimo della Chiesa, e lo conferma  con diversi esempio del  Baldelli, del Ferrandi, e del Mabillon. E al n. 15 dove insegna assieme agli stessi autori e con il Guyet : « i nomi da imporsi ai Santi ignoti devono essere appellativi, nei quali non deve risiedere alcun inganno, e per questo non è lecito imporre ad esempio il nome di San Pietro Apostolo o qualcosa di simile ad un Santo Ignoto»  e al numero 16 dove infine insegna quanto segue: « per far cessare in questo modo le obiezioni che di contro possono essere opposte ».
  • Venendo così al nome degli Angeli, sappiamo ciò che possiamo anche a loro, ed infatti qualche angelo, già noto per il suo nome, non viene mai identificato nella Sacra Scrittura con un nome diverso, e quando Raffaele in Tobia capitolo V versetto 18 disse :« Io sono Azaria» non è possibile trovarvi qui alcuna forma di menzogna, ma meglio risulta evidente che sui nomi sussista una difficoltà quasi insignificante, perché è ben possibile che oltre quei nomi che sono propri di ciascuna persona, se ne possano ragionevolmente applicare altri.  Infatti nelle feste che si devono celebrare nella chiesa non si devono per forza  stabilirne i dogmi di fede, ma è sufficiente accendere la devozione dei fedeli, e stabilire in modo meno superstizioso possibile il culto divino.  Poiché invece la verità si custodisce anche nel nome di quegli Angeli, che da qualcuno sono respinti come  incerti, ciò è chiaro anche in quel nome  ricavato dallo stesso Raffaele, poiché Azaria significa “Aiuto di Dio”, cosa che non può che applicarsi anche agli altri sei Principi degli Angeli, così come i nomi di Fausto, di Candido e di Vittoria possono accordarsi a tutti gli altri Santi ignoti, i nomi dei quali, furono agli stessi apposto dalla Sacra Congregazione dei Riti nel gionro 23 giugno 1670 giusta quanto stabilito da Clemente IX di felice memoria, che aveva statuito che agli stessi dovessero essere affibbiati soltanto quei nomi che sono comuni e di natura  appellativa per ogni Santo, come insegna il lodato Pontefice Benedetto nel succitato capitolo 28 num. 15.  Cosa  che più largamente può essere confermata  dal fatto che la Chiesa nella benedizione dell’incenso all’ Offertorio nella Messa solenne ci insegna a dire: « Per intercessione di San Michele Arcangelo che sta a destra dell’altare dell’incenso» quando al contrario veniva detto anticamente « Per intercessione di San Gabriele» come insegna il lodato Benedetto XIV nel quarto libro, parte seconda capitolo 50 al numero 5, nel quale infatti io noto che la prassi della Chiesa non invoca sempre lo stesso Angelo per il medesimo ministero, purché anche l’altro possa essere invocato al suo posto nello stesso incarico. Sembra suffragare questo atteggiamento anche il citato Cardinale Gaetano nell’esposizione del medesimo articolo di San Tommaso: «« Nelle cose etiche non sussistono trattati fisici», poiché nella stessa Sacra Scrittura una volta  e ancora si dice che “Dio siede sui cherubini”, nonostante le sedie di Dio siano i Troni.  Così, inoltre, in quella città celeste ci sono cose più speciali di quelle che tuttavia sono comuni a tutti, come insegna San Gregorio Magno, richiamando queste cose direttamente dalla Sacra Scrittura, nell’omelia 34 sui Vangeli. E’ giusto dunque che  rimanga per noi incerto (ma che sia certo per quelli maggiori di noi), se ciascuno dei Sette Angeli sia stato attribuito uno speciale ministero per consentire di ottenere grandi offerte dai maggiori di noi mediante i loro nomi; ma resta sicuramente a noi possibile attribuire agli stessi Angeli quei medesimi ministeri  /compiti, che sono da noi conosciuti mediante i loro stessi nomi affinché si possano invocare i medesimi Sette Angeli soprattutto quando o tramite le rivelazioni o per il comune consenso dei fedeli, tali nomi accettati o imposti (così come altri lo furono per i Santi di natura umana) si saranno affermati per lo spazio di un tempo antichissimo e godano del diritto legale e non vi sia nulla di superstizioso o di indegno per i Santi Angeli, ma al contrario profumino del dolce odore della pietà e possano eccitare gli animi a una devozione così sublime, così come ci appare dall’interpretazione dei medesimi nomi fatta da moltissimi scrittori Cattolici.  Infatti l’interpretazione che presenta Cornelio a Lapide dei quattro nomi non espressi nella Sacra Scrittura, sembra completamente conforme alle regole previste dal prelodato Papa Benedetto: “ Uriele si chiama quell’Angelo che illumina gli uomini alla conoscenza divina; Sealtiele, si chiama quello che prega per gli uomini e li incita a pregare; Geudiele, quello che spinge gli uomini alla Confessione e alla Lode di Dio e Barachiele quello che ci procura i benefici di Dio e ci spinge alla Benedizione e al rendimento di grazie. Infatti i medesimi ministeri (dopo la virtù, la fortezza e la medicina dei quali sono insigniti Michele, Gabriele e Raffaele) identificano offici meravigliosi, che possono giovare in modo massimo sia al culto divino che all’utilità umana. Questa interpretazione è conforme con quelle  che sono soliti affermare anche gli studiosi cattolici della lingua ebraica. E soprattutto il celeberrimo Padre Salmerone nel Trattato n. 3 su San Gabriele, riporta quegli altri quattro nomi dichiarandoli approvati nel tempo in cui visse; ed anche il dottissimo perito di lingua ebraica, padre Galatino, grazie all’incarico attribuitogli dal Cardinale dal Monte, Legato Apostolico a Roma in assenza di Papa Clemente VII, riconobbe e approvò quella  Messa che Antonio lo Duca, su esortazione e comando del medesimo Cardinale Legato, aveva infatti fatto comporre, nella cui prosa ovvero nella cui sequenza, si trovano espressi i sette nomi con i loro ministeri ( come si può vedere in un certo scritto edito per i tipi della Biblioteca Vaticana, e nell’ Archivio del Monastero di Santa Maria degli Angeli a Roma). È evidente da tutte queste cose, che non vi sia nulla di contrario che nuovamente, quella messa, con i nomi possa essere celebrata; e non diversamente da questa anche l’officio proprio degli stessi sette Angeli, che lo stesso Arcivescovo Palermitano Ottaviano Preconio[1] aveva composto per l’uso della Chiesa di Palermo ( come riferisce il dottissimo Padre gesuita Ottavio Gaetano nella storia della scoperta delle immagini dei Sette Arcangeli nella città di Palermo). Certo, può opporsi che quegli (esercizi) furono tolti dopo la riforma ordinata da San Pio V del Breviario e del Messale; come nonostante l’omissione dell’Officio e della Messa di San Gabriele e Raffaele, furono poi successivamente ammessi in altre Chiese dell’orbe cattolico, e addirittura a Roma al tempo di Pio VI. Così precisò padre Matteo Catalani nella storia della fondazione della Chiesa di Santa Maria degli Angeli, eccependo soltanto, per l’instaurazione di tali Offici e Messa, la necessità che il modo antico della loro composizione, si sarebbe dovuto adattare al nuovo modo,  stabilito dalla riforma di San Pio V (o poteva concedersi un altro Officio e un’altra messa – se necessario).
  • Ora invece si deve osservare che come insegna il prelodato Benedetto XIV nel libro I capitolo 6 i Vescovi, con proprio ordine, nelle loro diocesi potevano talvolta stabilire un culto pubblico e in seguito estenderlo anche ad altre Chiese, e così pure alla stessa Città di Roma, ottenendo l’approvazione  degli altri Vescovi ed infine dello stesso Sommo Pontefice. Cosa che dalle cose dette, è facile notare essere avvenuto proprio per questi Sette Angeli; e grazie alla loro stessa immagine che ancora rimane con i loro offici nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma; i Ministeri infatti non sono che i sinonimi dei loro nomi, come risulta dalla dottrina di San Gregorio nell’ Omelia n. 34 sugli Evangeli abbastanza nota, ed anche ciò insegnando pure San Tommaso, secondo cui è abbastanza certo che  se riconoscessimo i ministeri degli Angeli, potremmo imporre loro dei nomi.
  • Al primo punto deve dunque rispondersi che ci basta  ciò che già si conosce sui  primi tre nomi dei Sette Angeli: il nome di Michele, in ciò che dice Daniele al Capitolo 10: « Ecco Michele, uno dei Primi Principi» e allo stesso modo il  nome di Gabriele in ciò che lo stesso afferma nel Vangelo di Luca al Capitolo 1: « Sono Gabriele che assisto davanti a Dio» ed infine il  nome di Raffaele da ciò che si ha più sopra: « Sono l’ Angelo Raffaele uno dei Sette che assistiamo davanti al Signore» dove può facilmente notarsi quel verbo “assistiamo” che si accorda con quell’ “Assisto” di cui parla l’Angelo Gabriele. 
  • Al secondo punto va risposto che il nome Uriele  non solo trae conferma dai libri 3 e 4 di Esdra ( che nonostante siano apocrifi tuttavia godono di grande autorità) , ma anche dall’autorità dei Santi Ambrogio, Isidoro, Alberto Magno, Bonaventura ed altri e dalla Messa a San Gabriele approvata da Leone X con l’invocazione di Uriele, che si ritrova nella Biblioteca pubbliche Barberina e Cistercense della Città, nonché dal Breviario di San Francesco nel cui officio di San Gabriele, Uriele esisteva fino al tempo di Pio VI.  Peraltro non si sta parlando qui , come detto precedentemente, di un dogma di fede, ma di ciò che riguarda la possibilità di invocare  i nomi dei Sette Angeli nella Messa e nell’Officio. Al contrario, l’ eretico Adalberto fu condannato per il fatto che, sotto il pretesto o meglio la scusa di invocare gli Angeli chiamava infatti i demoni: che  si ritrovano espressi nelle parole del Concilio ,  invocando addirittura tra gli altri nomi anche quello di Michele , che certo non può essere oggetto di riprovazione, così come non può esserlo il nome Sabaoth, che invocava ugualmente. Ma molti sono gli autori che spiegano il Concilio Romano in tal modo, che i nomi dei Sette Angeli non gli si debbano assolutamente opporre, per cui niente di ciò disonora la cosa.
  • Al terzo punto va risposto che gli altri tre nomi, sebbene non si ritrovino nella Sacra Scrittura come nomi propri di Angeli , si trovano all’interno della stessa sincopati sotto forma di nomi di singoli uomini, così come nella Sacra Scrittura i nomi di Michele, Raffaele e Uriele  si ritrovano apposti talvolta a nomi di singole persone. Per cui non risulta nulla di strano se questi tre ultimi nomi e il nome di Uriele sono nella sacra scrittura attribuiti agli uomini, nonostante vengano comunque adottati per invocare i Sette Angeli mediante l’espressione dei ministeri Angelici; né possano dirsi cose nuove sebbene vi sia una pia credenza che siano stati rivelati nelle rivelazioni del Beato Amadeo, una volta che furono ottenuti come ricompensa affinché siano talvolta scoperte quelle cose che apparivano pure.  Sebbene debba essere respinta la rivelazione di tali nomi, essi tuttavia,  potettero  essere imposti dai ministeri di Angeli tanto sublimi, i quali sono inviati su tutta la terra come occhi e corna dell’Agnello per esercitare la sua provvidenza nel governo del mondo e la debellazione dei suoi nemici. E quando, grazie alle fatiche del pio e dotto presbitero Antonio lo Duca, Rettore della Chiesa dei Sette Angeli di Palermo, il loro culto con i nomi fu ritrovato a Roma, tutte le medesime obiezioni e difficoltà allora sorte a Roma, le risolse e cancellò tutte grazie al comando del Sommo Pontefice Pio IV, che le immagini dei Sette Angeli con i loro offici e nomi nell’Icona della Regina degli Angeli, nella omonima Chiesa dallo stesso Sommo Pontefice, con grande concorso di tutti, dedicata, fossero rimasti li per secoli in loro onore, né dopo una tale difesa, la proibì taluno dei successivi Sommi Pontefici, fino a che Albizzi ignaro della sua antichità e dei fondamenti del culto, curò di far cancellare i nomi di quegli Angeli (come lo stesso scrisse nel libro De Inconstantia in Fide) senza aver addotto qualsivoglia tipo di decreto per la loro cancellazione, così come mostra i decreti adottati per altre questioni. Per cui lo stesso potù curare la cancellazione di quei nomi senza possederne alcuna autorità, allo stesso modo in cui, peraltro, curò l’edizione della sua opera senza averne alcuna licenza, ragione per la quale la stessa fu proibita, e non merita alcuna considerazione. Nonostante questo, tuttavia, le iscrizioni, che indicano i loro ministeri, restano ancora ad esprimere proprio tali nomi, non avendo infatti lo stesso Albizzi parlato dei ministeri ma solamente dei loro nomi, non badando al fatto che , approvati quei ministeri angelici, possono affibbiarsi agli Angeli pure quei nomi, perché sia i ministeri che i nomi, comunemente sono ritenuti essere veri e propri sinonimi. E sebbene si siano affermati entrambi circa dall’anno 1516 dalla scoperta della tavola palermitana, per la loro difesa è giusto applicare ancora una volta ciò che ci tramanda il sapiente Benedetto XIV, sul caso esaminato, e sul numero dei cent’anni di cui al ibro 3 cap. 22 e 23 nella dottissima opera “De Servorum dei Beatificazione et Canonizatione”.  Quanto infatti, da quel tempo la devozione per i Sette Angeli si fosse accresciuta ed estesa per il mondo, risulta evidente da vari documenti, che riferire ora sarebbe troppolungo, nei quali è sufficiente quanto già è stato detto del Servo di Dio e Missionario Apostolico, Antonio Ruiz, di cui (nel libro 4, cap. 5 della sua vita) si legge che avesse fatto ogni giorno della settimana una particolare preghiera a ciascuno di loro, i cui nomi impressi allora nelle preghiere venivano invocati, le preghiere dei quali spesso, fino ai giorni nostri sono state impresse in vari luoghi con licenza dei Superiori, per cui godono ancora di tutte le approvazioni.
  • Al quarto punto si deve rispondere che la predetta immagine palermitana ...

CONTINUA ...

[1] Nacque a Castroreale, nell'arcidiocesi di Messina, ed era nipote dell'omonimo arcivescovo di Palermo. Entrò nell'Ordine dei frati minori. Presentato da re Filippo II, nella sua qualità di re di Sicilia, l'11 agosto 1578 fu nominato vescovo di Cefalù da papa Gregorio XIII. Nel 1584 indisse il primo sinodo diocesano.

 

 

 


[NOTE AL PRIMO ARTICOLO]

[1] Vincenzo Ludovico Gotti  (Bologna, 5 settembre 1664 – Roma, 18 settembre 1742) è stato un cardinale, teologo, erudito, polemista e apologeta italiano, da non confondere con un’ omonimo che sarebbe nato due o tre anni dopo questa difesa! Nato a Bologna da Giacomo Gotti e Chiara Capardi, nel 1680 vestì l'abito dei Domenicani nella Basilica di San Domenico (Bologna). Dopo aver studiato filosofia a Forlì e a Bologna, si addottorò in teologia all'Università di Salamanca. Ritornato in Italia nel 1688, ottenne la cattedra di teologia e filosofia dapprima a Mantova, poi alla scuola dei Domenicani annessa alla Basilica di Santa Maria sopra Minerva di Roma, e infine all'Università di Bologna; in seguito Clemente XI lo nominò inquisitore generale di Milano, carica che resse fino al 1717, anno in cui ottenne la cattedra di "Teologia polemica" a Milano. Provinciale dei Domenicani, nel 1725 rifiutò l'elezione a maestro generale. Nel 1728 Benedetto XIII, anch'egli domenicano, lo promosse patriarca titolare di Gerusalemme e cardinale col titolo di San Pancrazio prima e San Sisto dal 1738. Assieme a Charles René Billuart, Gotti è stato il principale esponente della Scuola Tomistica. I suoi scritti comprendono molte opere di apologetica e di polemica soprattutto contro Luterani e Calvinisti. In quest'ambito scrisse De vera Christi Ecclesia (La vera Chiesa di Cristo), stampata a Roma nel 1719 e, in una nuova edizione accresciuta, a Milano nel 1734, contro il calvinista svizzero Giacomo Picenino. L'opera più importante consiste nello studio della Summa di Tommaso d'Aquino (Theologia scholastico-dogmatica juxta mentem D. Thomae Aquinatis ad usum discipulorum).

 [NOTE AL SECONDO ARTICOLO]

Giovanni Ferrando - Disquisitio reliquiaria, sive de suscipienda et suspecta earundem numero Reliquiarum, quae in diversis ecclesiis seruantur multitudine, XVII secolo.